Michael Jordan è considerato da molti uno dei più grandi giocatori di pallacanestro di tutti i tempi, una delle stelle che ha contribuito negli anni ’80 e ’90 a diffondere la NBA a livello mondiale. Immagino che un po’ per tutti sia impossibile pensare ai fallimenti di Michael Jordan, ma anche lui ne ha avuti una bella dose. Pensa che venne tagliato fuori dalla squadra di pallacanestro del secondo anno del liceo. Come dice anni più tardi, quel fallimento lo ha ispirato a lavorare ancora più duramente.
Ecco cosa ha detto a proposito del fallimento:
“Ho sbagliato più di 9.000 tiri nella mia carriera. Ho perso quasi 300 partite. In 26 occasioni mi è stato affidato il tiro vincente della partita, e l’ho mancato. Ho fallito più e più volte nella mia vita. Ed è per questo che ho avuto successo”.
Esclusioni, infortuni, sempre più impegno
Da ragazzino impegna tutte le sue energie nello sport giocando a baseball, football americano e pallacanestro.
È un ragazzino molto gracile, ma malgrado due anni promettenti come lanciatore della squadra di baseball locale, la sua carriera si interrompe bruscamente proprio perché la sua ridotta fisicità gli impedisce di lanciare con la dovuta forza ed energia.
Parallelamente prova anche a giocare nella squadra locale di football americano. Gioca in difesa con discreti risultati, fino a quando un contrasto di gioco gli causa la lussazione della spalla inducendolo di nuovo a dirottare altrove la sua attenzione.
Si dedica quindi alla pallacanestro. Dopo due anni tra le giovanili, prova a entrare in prima squadra, ma l’allenatore lo esclude, nonostante Jordan venga considerato il miglior giocatore delle giovanili. Gli preferisce un compagno di squadra perché è più alto.
L’episodio dell’esclusione dalla prima squadra serve a Michael Jordan per migliorarsi. La sua esclusione si spiega con il fatto che la prima squadra, composta per regolamento quasi interamente da giocatori del quarto e quinto anno, ha la necessità di elementi alti.
All’inizio del suo quarto anno al liceo raggiunge i 190 cm di altezza ed entra in prima squadra dove indossa per la prima volta il numero 23, il numero diventato poi uno dei suoi simboli.
La NBA
Nel 1984 i Chicago Bulls annunciano che Jordan ha firmato un contratto di 7 anni per 6 milioni di dollari, il terzo più alto nella storia dell’NBA.
Nello stesso periodo, la Nike, un’azienda di scarpe dell’Oregon con un fatturato annuo di 25 milioni di dollari che non naviga in buone acque – il primo trimestre è in perdita – necessita di nuove idee per recuperare il terreno perso sulla concorrenza e per questo sta cercando nuovi canali di espansione. Grazie a un suo agente, sta espandendo la propria sfera d’influenza nel mondo del basket, dapprima quello collegiale e poi quello NBA.
È proprio l’agente Vaccaro a intuire l’enorme potenziale di Jordan e a convincere la Nike a scommettere ingenti risorse sul giovane talento prima di altre aziende concorrenti. Michael Jordan, soprannominato Air Jordan, non è ancora una stella, ma firma un contratto di 2 milioni di dollari in 5 anni oltre a ricevere una percentuale su ogni scarpa, un investimento senza precedenti per un atleta non professionista. Nasce così la linea ‘Air Jordan’ con il logo che oggi tutti conosciamo.

I ritiri e i nuovi inizi
Nel 1993 il padre di Jordan, James, viene assassinato. Di ritorno dal funerale di un amico, decide di fermarsi sul bordo di un’autostrada interstatale per riposarsi, ma mentre sta dormendo, due criminali locali si fermano e lo uccidono per rubargli la macchina. Un mese più tardi Michael comunica la decisione di lasciare la pallacanestro.
L’amore del padre appena scomparso per il baseball, probabilmente è la motivazione più forte che spinge Jordan a ritirarsi dalla pallacanestro per dedicarsi a una nuova carriera nel baseball professionistico.
Dice “Voglio dimostrare di poter primeggiare anche in un’altra disciplina”. Nonostante la grande aspettativa del pubblico nei confronti del campione, Jordan ottiene risultati abbastanza modesti.
Un paio d’anni più tardi torna a vestire la maglia dei Chicago Bulls. È una stagione record dopo l’altra.
Nel 1999 annuncia per la seconda volta il ritiro. Si dedica al suo secondo sport preferito, il golf, e alla gestione della squadra di basket dei Washington Wizards.
Nel 2001 Jordan decide di tornare in campo, e da proprietario dei Washington Wizards torna ad essere giocatore. L’interesse intorno al suo ritorno è notevole, e i Wizards diventano in breve una delle squadre più seguite dell’NBA.
Al termine della stagione 2002-2003, si ritira per la terza e ultima volta.
Mentalità vincente
Nel 2016 il presidente degli USA Barack Obama gli conferisce la “Presidential Medal of Freedom”, la più alta onorificenza civile statunitense.
Michael Jordan rimane uno dei più grandi giocatori di sempre: oltre che per le doti tecniche e fisiche mostrate sul campo, si è distinto per la sua mentalità vincente e competitiva, per la regolare costanza di rendimento di stagione in stagione e la naturale leadership esercitata sui suoi compagni. Una delle peculiarità più apprezzate è sempre stata la sua abilità nel giocare sotto pressione ed effettuare le giocate decisive delle partite.
Le battute d’arresto, fin da piccolo, non lo hanno fermato, ma lo hanno sempre spronato a provare qualcos’altro.
Non sarebbe mai arrivato ad essere MJ se non avesse avuto una mentalità vincente, quel tipo di mentalità che ad un errore ti fa reagire con più impegno, più tenacia, più coraggio. L’errore è uno sprone a fare meglio, a riprovare, e non un qualcosa su cui piangere e rammaricarsi in eterno.